Quando tutto corre troppo: la storia di P. e il paradosso del tempo Capitolo 3

P. è un professionista brillante, appassionato del proprio lavoro e profondamente coinvolto nella sua vita familiare. Ma come spesso accade a chi si spende molto per gli altri, a un certo punto si è ritrovato sopraffatto da un senso di sovraccarico costante. La metafora che ha scelto per descrivere la sua situazione era tanto concreta quanto potente: “ho il congelatore pieno di cose che vorrei cucinare, ma in cucina adesso ci sta cucinando mia moglie, e giustamente è lei ad avere la priorità”. In questa immagine c’è tutto: la gestione del tempo, i ruoli familiari, i progetti messi in pausa, la frustrazione di non poter agire come si vorrebbe.

Questa sessione ha avuto al centro proprio il nodo del sovraccarico e il paradosso del tempo: più cerchi di fare, meno riesci a essere. P. ha raccontato di come, per mesi, abbia cercato di gestire il carico aumentando la velocità: alzandosi alle 5, andando a dormire alle 2. Ma come sappiamo nel coaching strategico, la tentata soluzione di “correre di più” spesso non fa che peggiorare il problema, alimentando la percezione di frustrazione e fallimento. È come cercare di svuotare il mare con un cucchiaio.

Abbiamo esplorato insieme l’effetto domino di certe abitudini: dire sempre di sì, non delegare, rimandare attività sgradite, lasciare aperti 80 tab sul browser, sottovalutare la stanchezza e tenere la mente in un multitasking costante. Il risultato? Un sistema fragile, dove ogni imprevisto può far saltare l’intera organizzazione.

Eppure, in mezzo a tutto questo, P. ha anche riscoperto qualcosa: la bellezza del gesto semplice, della presenza piena. Ha raccontato con un sorriso di una mattina in cui ha pulito casa con il figlio in braccio, senza audiolibri in sottofondo, solo per esserci, per fare spazio. Un gesto banale, ma denso di significato. Non è stata una performance, ma una riconnessione.

Abbiamo lavorato anche su un esercizio pratico per analizzare i comportamenti che peggiorano il sovraccarico. Non si trattava di giudicarsi, ma di guardarsi con onestà strategica. A cosa sto dicendo “sì” che dovrei iniziare a dire “no”? Quali attività richiedono poco tempo eppure continuo a rimandare? Dove sto scegliendo la quantità al posto della qualità?

Il cuore di questa sessione non è stato solo fare chiarezza, ma iniziare a ribaltare la prospettiva: non cercare di far entrare tutto in un’agenda già colma, ma creare spazio a ciò che davvero conta. P. ha capito che non è debolezza fermarsi, ma lucidità. Che non serve correre di più, ma cambiare direzione. E che per cucinare bene, ogni tanto, bisogna spegnere il fuoco.

(CONTINUA NEL PROSSIMO CAPITOLO)

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